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La sera dell’11 novembre 1944, a Gemona, in via Dante, venivano uccisi in un agguato tre soldati della milizia di difesa territoriale della Rsi, mentre rientravano alle loro abitazioni. Il gruppo era formato da quattro militi: due di loro, Andrea Degano e Nino Zanini, diciottenni, caddero sotto i colpi delle armi automatiche e l’esplosione di una bomba a mano; un terzo, Nino Della Pietra, rimase gravemente ferito e, soccorso dal quarto, milite, fu portato all’ospedale di Gemona, dove morì due giorni dopo. Fascisti e nazisti, per rappresaglia, portarono  a Gemona altri sei partigiani già custoditi nelle  carceri di Udine e già condannati alla fucilazione e decisero che l’esecuzione avvenisse in prossimità del luogo ove tempo prima erano stati uccisi i tre militi della MDT. Si trattava di partigiani provenienti da varie località, soprattutto dal pordenonese. I loro nomi erano: Salvatore Caputo, Aldo Del Mestre, Sereno Maraldo, Giovanni Morossi, Natale  Marangon e Angelo  Seidita. I sei furono fucilati nel luogo dell’azione  partigiana il 18 dicembre 1944. Lo stimmatino don Mario Pozzi, come ricorda il ricercatore Tito Cancian, “aveva avuto il triste incarico, il 18 dicembre 1944, di assistere i sei partigiani, i quali (…)  erano stati condannati a morte per rappresaglia e fucilati nell’ex orto di Ezio de Carli, dove attualmente si trovano le scuole medie statali e precisamente nella zona sottostante, dove esternamente esiste ancora una lapide che ricorda i nomi di quei poveri innocenti, tutti giovanissimi. Don Pozzi, accompagnò i sei condannati fino al luogo di esecuzione e, un attimo prima che questa avvenisse, passò accanto a ciascuno di loro per confortarli". Al Tirassegno, tra Ospedaletto  e Gemona, mercoledi 31 gennaio 1945, alle ore “sette e minuti nessuno” furono uccisi altri due partigiani, Gino Grafitti e Silvio Lena che vennero strangolati da Militi fascisti. “La vicenda di Lena - racconta Ezio Bruno Londero, all'epoca  partigiano guastatore della Divisione Osoppo operante nella Valle di Ledis - ebbe un epilogo particolare in quanto, dopo essere stato catturato, venne portato assieme a Gino Grafitti, nella casotta del Tiro a Segno, sull’argine del torrente Vegliato: Leda e Grafitti vennero legati ad una sedia con una corda. Un’altra corda venne poi cinta attorno al collo e i due capi vennero presi da due che tirarono in senso opposto fino a strangolare i due malcapitati. Alcune ore dopo, il gruppo dei miliziani che aveva svolto l’azione di strangolamento si trovava all’osteria “da Cisotto”che stava di fronte alla caserma della Milizia. Il gruppo cantava, beveva e rideva vantandosi di aver ucciso anche quel giorno due ribelli: "E ancje vuei in vin fats fur doi! Ogni ore un di mancul!” dicevano. In quel momento  vennero informati  che uno dei due non era morto ed  era stato rianimato da alcune persone e portato in una famiglia di Stalis. I miliziani, inferociti, presero il motocarro che avevano a disposizione e si recarono subito nella famiglia dove si era rifugiato l’uomo. Lo prelevarono e lo uccisero con un colpo di pistola. I nomi dei sei partigiani fucilati e dei due  strangolati  sono trascritti su di  una lapide nella  strada che è stata espressamente  intitolata “via Caduti della Libertà” . Viene ricordato che essi furono "trucidati perché volevano l'Italia libera"

Per un approfondimento dell'episodio, v. il lavoro del prof. Luigi Raimondi in :


http://www.anpigiovaniudine.org/index.php?id=83&;menu=40