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L'eccidio di Avasinis nella ricostruzione di Diego Carpenedo

L'eccidio di Avasinis costò la vita a 51 persone, per lo più donne, bambini e vecchi, e fu il classico colpo di coda della guerra; avvenne, infatti, il 2 maggio 1945, data nella quale, secondo gli accordi stipu­lati per le truppe tedesche in Italia, doveva entrare in vigore il "cessa­te il fuoco". La strage fu opera di un reparto delle SS che si ritirava percorrendo la strada statale 13, la "nazionale" come si diceva allora, diretto in Austria.
"La fine si avvicinava con grandi passi, ma come si sarebbe fatto in zona? C'erano Cosacchi, Tedeschi e Partigiani e non si pensava che ciascuno sarebbe andato per conto suo a casa sua al momento oppor­tuno. C'erano troppi conti da saldare" scrisse sul suo diario don Francesco Zossi, il parroco di Avasinis.
La strada statale, intasata per l'afflusso eccessivo e disordinato dei mezzi di trasporto dei tedeschi in ritirata, fu sede di attacchi dei partigiani. Altre azioni partigiane si diressero contro i reparti dei cosacchi di stanza a Trasaghis. Ma si trattò di ordinaria amministrazione, se così si può dire, di scaramucce che non spiegano l'assalto portato al paese di Avasinis da un reparto delle SS proveniente da Gemona, che giunse a Trasaghis nel pomeriggio del 1 ° maggio e che il giorno suc­cessivo si diresse verso Avasinis. Un gruppo di partigiani tentò di sbarrare la strada ma fu rapidamente messo in fuga dai mortai e dalle mitragliatrici pesanti di cui disponeva il reparto. I tedeschi, appena giunti in paese, si sparsero per le vie e iniziarono la perquisizione ed il saccheggio delle case uccidendone gli occupanti, donne o bambini o anziani inermi che fossero, apparentemente senza una logica preor­dinata. Alle volte uccisero tutti gli occupanti di una casa, alle volte una sola persona, secondo il capriccio o, meglio la bestialità e la fero­cia di ogni singolo soldato. Anche la canonica seguì la sorte comune. Il sergente che comandava la squadra ne aprì il cancello con un calcio e, dopo aver rivolto al parroco che gli andava incontro frasi sconnes­se, che comunque rivelavano l'intenzione di uccidere tutti gli abitanti di Avasinis perché partigiani, ordinò ad un soldato che lo accompa­gnava di sparare a don Zossi. "Alzai la mano per pregarlo....il soldato sparò e mi colpì la mano che avevo alzato all'altezza della testa. Per lo spavento caddi a terra svenuto come un morto" (dal diario del par­roco).
Pose fine alla strage un ufficiale, con un ordine secco prontamente eseguito. Le SS trasportarono una parte dei cadaveri fuori del paese, nelle rogge del "Bearz", ancora una volta senza una logica apparente perché la maggior parte delle vittime venne lasciata nelle case e nelle strade di Avasinis. Poi, finalmente, se n'andarono. Senza una logica apparente, così come l'intera vicenda per la quale appare verosimile un'unica spiegazione: la volontà di trasmettere un messaggio sinistro e minaccioso, in grado di far comprendere che non sarebbe stato tollerato il minimo intralcio ai movimenti delle SS in ritirata verso l'Austria.
Se questa fu l'intenzione, bisogna dire che il messaggio fu compreso. Tre giorni più tardi, il 5 maggio 1945, una colonna di 500 SS, com­prendente gli autori della strage di Avasinis, uscì da Tolmezzo diretta verso il passo di M. Croce Carnico indisturbata e risalì la valle del But senza incontrare il minimo ostacolo.
Dell'eccidio è stata data anche una spiegazione diversa. Una spiega­zione che ha a che fare con il presidio dei cosacchi di Avasinis che, il 29 aprile, si arresero ai partigiani con la promessa di aver salva la vita e che furono portati in montagna, nelle malghe che stanno sopra il paese. Gli sventurati, circa ottanta uomini, non ebbero la stessa for­tuna che toccò ai loro connazionali catturati dai partigiani della Val Pesarina, che custodirono i prigionieri senza violenze (nonostante la preoccupazione di un possibile intervento dei reparti cosacchi che da Villasantina si stavano dirigendo verso Paluzza ed il passo di M. Croce Carnico) e poi li consegnarono agli Alleati in quel di Tolmezzo.
Furono tutti uccisi nei primi giorni di maggio del 1945, dopo i fatti di Avasinis e non prima, e quindi non regge la tesi che vuole la strage di Avasinis conseguenza di quella dei cosacchi; è vera la proposizione inversa.
Regge, invece, il ragionamento che don Zossi annotò sul suo diario: "C'è l'attenuante dell'esasperazione per tanto sangue, lutti e rovi­ne ... ma come rimproverare agli altri se poi ci si è comportati così male. La vendetta è propria di un animo cattivo, il perdono di Dio".
 
Da: Diego Carpenedo, Cronache friulane: la provincia di Udine durante la seconda guerra mondiale, La Nuova Base Editrice,  Udine 2004